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"Tenta
di procurarti non appena puoi le prime nozioni dell’arte del dirigere, e
osserva spesso i buoni direttori d'orchestra; permettiti pure di dirigere in
silenzio insieme a loro. Ti darà chiarezza". (R. Schumann)
Premessa
Agli inizi del terzo millennio non sembra più possibile poter accettare la
distinzione del ruolo del direttore di coro da quello d’orchestra: la
psicologia e la tecnica della direzione è identica per tutti e due, i principi
ritmici, melodici, armonici o contrappuntistici prescindono dall’organico
prescelto per l’esecuzione. Nessuna differenza, quindi, tra i due direttori,
almeno nella preparazione e nel curriculum di studio.
Tanto imperdonabile per un direttore d’orchestra ignorare la tecnica vocale
quanto per il direttore di coro quella orchestrale; che dire, poi, se l’uno o
l’altro si trovassero alle prese con brano per coro e l’orchestra? Quanti
sono i direttori in grado di dirigere l’Histoire du soldat o Threni di
Stravinsky? Perché, salvo improbabili eccezioni, il direttore d’orchestra
riesce facilmente ed inequivocabilmente a dirigere un coro, mentre il direttore
di coro non è capace di dirigere l’orchestra? Quest’ultima, per potersi
costituire, necessita di elementi che abbiano sulle spalle almeno una decina
d’anni di studi musicali, mentre per il coro, il più delle volte, purtroppo,
ci si accontenta di una "allegra brigata": l’importante è
"avere la voce".
In virtù di questa concezione deleteria e dilettantistica ci si improvvisa più
facilmente direttori di coro che d’orchestra: questo è il motivo per cui ci
si imbatte in miriadi di cosiddetti "direttori di coro" che credono di
assolvere alla loro mansione solo perché agitano più o meno confusamente le
braccia in aria.
Quanti cantanti ed insegnanti di canto, infine, credendosi depositari
dell’arte canora in genere e, nel caso specifico, di quella corale hanno la
presunzione di occuparsi e discutere dell’arte direttoriale ritenendosene
dotti, credendo che "avere una bella voce" significhi saperla usare
per se stessi e per gli altri. Colse nel segno il grande Schumann riguardo
queste persone: "dai cantanti, uomini e donne, si possono imparare
parecchie cose, ma non credere a tutto quel che dicono". L’arte
direttoriale rappresenta sicuramente una delle più difficoltose tecniche di
comunicazione non verbale: con questo saggio ci occuperemo dei molteplici
aspetti della direzione, da quelli strettamente tecnico-gestuali, a quelli
psicologici e scientifici, cercando di sgomberare il terreno da tutti quei
luoghi comuni e modi empirici che trovano ragion d’essere solo grazie alla
squallida mediocrità di chi ha la presunzione di cimentarsi in un’arte così
nobile e complessa da non conoscere compromessi.
Per essere un buon direttore non basta essere un buon musicista, tecnicamente e
culturalmente preparato ma è necessario possedere una profonda conoscenza
dell’arte direttoriale. E’ assolutamente assurdo pensare che il virtuoso
dello strumento non possa fare a meno di una tecnica del braccio, dell’arco,
dell’emissione ecc. mentre il direttore possa tranquillamente ignorare
l’esistenza di una specifica tecnica della direzione.
La direzione
La direzione, forma empatica di comunicazione affettiva, è arte di interpretare
una composizione che richieda un complesso di esecutori la cui individualità è
sottomessa all’unica autorità del direttore, vero interprete dell’opera. La
tecnica della direzione racchiude in sé il complesso delle attività
finalizzate alla disposizione, coordinazione e disciplina degli esecutori in
relazione all’interpretazione della composizione musicale.
Il direttore
Le prime figure di "direttori" sembrano risalire a quelle del corifeo
(che guidava i cori nella tragedia greca) e del primicerio medioevale (che si
rivolgeva chironomicamente verso i cantori per l’esecuzione di composizioni
gregoriane). L’avvento della polifonia, imponendo la musica mensurata, stabilì,
mediante le figure, i rapporti di durata tra i singoli suoni: fu così che nel
tactus vennero ad identificarsi sia la misura tipo di un brano che la sua
rappresentazione visiva tramite i gesti della mano. Divenuto essenziale mezzo di
coordinamento esecutivo, il tactus si impose quale fondamento della tecnica
direttoriale: coristi e strumentisti erano diretti dai movimenti della mano del
praecentor o dalla percussione di una verga sul leggio o del piede sul suolo. La
cosiddetta "battuta rumorosa" si riscontrava maggiormente nelle
esecuzioni strumentali piuttosto che in quelle vocali poiché, il direttore non
poteva disporre dell’uso delle mani impiegate sullo strumento facendo lui
stesso parte del complesso in qualità di esecutore. Gli sviluppi del
mensuralismo portarono alle più svariate complicazioni sorte per opera delle
diverse scuole di teorici e compositori; tuttavia, nel Cinquecento, il
propagarsi della stampa musicale favorì la semplificazione e l’unificazione
dei vari sistemi notazionali.
Dal punto di vista direttoriale vigeva la distinzione della depressio (movimento
in battere) ed elevatio (movimento in levare); anche le misure ternarie erano
dirette "in due" facendo corrispondere al movimento in battere la
durata dei primi due tempi ed al levare la durata del terzo tempo. Le musiche
erano impaginate a "libro di coro" o stampate in parti separate: fu
nel 1577 che fu pubblicata la prima partitura di una raccolta di madrigali di
Cipriano de Rore per i tipi del Gargano di Venezia. I primi accenni sull’arte
del dirigere si riscontrano in Zacconi (Prattica di musica), quando già da
oltre un secolo si stava consolidando con i complessi corali.
Nella prima metà del secolo XVII iniziò a diffondersi più capillarmente la
scrittura in partitura che permetteva al maestro al cembalo di realizzare il
basso continuo e seguire il rigo del canto configurandolo, così, come uno dei
predecessori più diretti del direttore. L’importanza assunta dagli strumenti
ad arco fece sì che ben presto anche il konzertmeister (primo violino)
assumesse il ruolo direttoriale all’interno della compagine degli esecutori.
Oltre alla figura del maestro al cembalo e del primo violino va ricordata quella
del batteur de mesure il cui compito era quello di far udire agli esecutori la
scansione del tempo provocata con un bastone battuto a terra. Val la pena
ricordare l’episodio di Lully che, colpendosi il piede nell’esercizio di
tale mansione, contrasse l’infezione che lo portò alla morte. Sino alla fine
del XVIII secolo, direzione e concertazione erano concepite non come ruoli
specifici spettanti ad un maestro designato a tal fine, ma come compito del
compositore che concorresse anche come esecutore alla realizzazione dell’opera
musicale stessa.
La concezione odierna del direttore andò affermandosi agli inizi del XIX secolo
quando le figure del maestro al cembalo, del primo violino, del batteur de
mesure e del compositore furono sostituite gradatamente da quella del direttore.
L’incremento quantitativo e qualitativo delle masse corali ed orchestrali
unitamente alle maggiori difficoltà interpretative determinate dai nuovi
orientamenti compositivi resero ancor più necessaria la presenza di un maestro
esperto nella concertazione e direzione. Al direttore vene destinata
un’ubicazione ben visibile a tutti gli esecutori, fuori dalle aree orchestrali
o corali, ed un leggio particolare. I direttori ottocenteschi usavano le
partiture solo per il proprio studio concertando e dirigendo con la sola parte
del primo violino sulla quale erano aggiunte le "entrate" degli altri
strumenti. Nella direzione di opere teatrali alla parte staccata del primo
violino era aggiunto un rigo per i recitativi: successivamente fu adottata una
forma riassuntiva, detta del violon principal comprendente il rigo superiore del
primo violino, quello inferiore del basso, un duplice rigo contenente una
riduzione delle parti restanti, un rigo con le "entrate" più
importanti dei solisti e del coro. Ulteriore definitivo assestamento all’arte
direttoriale fu dato da Berlioz e Wagner giunti alla direzione mediante la
pratica compositiva. Le loro orchestrazioni e composizioni innovative, esigendo
capacità esecutive altamente progredite, imposero la necessità di un’arte
direttoriale del tutto svincolata dalle concezioni fino ad allora vigenti.
Nell'Ottocento la direzione divenne gradualmente una professione autonoma. In
parte questo fu conseguenza degli sforzi compiuti da compositori-direttori per
raggiungere un alto livello esecutivo; ma fu anche il risultato dei nuovi canoni
estetici del romanticismo, che innalzava la musica a una posizione artistica mai
prima occupata. Sebbene anche nel Novecento si perpetui la tradizione del
compositore-direttore (basti pensare agli esempi di Britten, Bernstein, Boulez
ecc.), la complessità esecutiva, interpretativa e tecnico-gestuale della musica
contemporanea impongono una figura direttoriale altamente qualificata e
specializzata, svincolata da concezioni anacronistiche ed al passo coi tempi.
Coro ed orchestra: "strumenti"
del direttore
Essendo lo strumento di cui dispone costituito da un’eterogeneità di
individui, il direttore non può scindere gli elementi tecnici e musicali da
quelli puramente psicologici: è dalla loro più perfetta sinergia ed osmosi,
infatti, che nasce l’arte direttoriale.
Ciascun esecutore concorre alla realizzazione del brano con una responsabilità
limitata alla propria parte, la sua bravura si misura anche in base alla capacità
di regolare aspetti della sua esecuzione in relazione a quella dei colleghi.
Motivazioni di diverso carattere precludono agli esecutori l’effettiva
responsabilità dell’interpretazione sonora ed artistica del brano. Le parti
staccate, ad esempio, fornendo un’informazione non esaustiva del brano
(visione offerta nella sua integrità solo dalla partitura) fa sì che gli
elementi costituenti l’organico orchestrale e corale non abbiano l’idea
compiuta del pensiero compositivo dell’autore; dal punto di vista strettamente
acustico, inoltre, ciascun esecutore riceve una percezione acustica non
corrispondente a quella del risultante collettivo, ma falsata dalla sua
ubicazione ben precisa all’interno dello schieramento corale-orchestrale; la
componente della psicologia di gruppo, infine, sottrae spirito di iniziativa e
carattere soggettivo a ciascun esecutore rendendolo privo delle peculiarità
essenziali all’interpretazione artistica.
Tali premesse rendono necessaria la figura del direttore quale garante della
coordinazione e coerenza musicale ed interpretativa necessaria alla
realizzazione dell’opera stessa. Il direttore è, quindi, l’unico e vero
interprete che esprime la sua idea attraverso l’organico prescelto per
l’esecuzione.
Psicologia di gruppo
Aristotele, definendo l’uomo come animale politico, si riferiva al fatto che
la vita umana si svolge prevalentemente nell’ambito di gruppi. Rientrando in
questa categoria sia il coro sia l’orchestra, è necessario che il direttore
conosca le principali peculiarità psicologiche di un gruppo affinché possa
convenientemente e più facilmente gestirlo.
Per gruppo s’intende un insieme d’individui il cui comportamento è soggetto
a reciproca influenza, ogni esecutore, infatti, interagisce con il suo gruppo,
influenzandolo e lasciandosi influenzare da esso. Le azioni d’ogni membro si
ripercuotono, quindi, su quelle degli altri armonizzandosi, a loro volta, con
esse. Il legame tra gruppo ed individuo va posto sia in termini fisici che
psicologici. Generalmente i gruppi si distinguono in formali, se di struttura
rigida e predeterminata (ad esempio come gli eserciti) ed informali (nel nostro
caso cori ed orchestre) che sorgono dal libero arbitrio delle persone che
decidono di costituirsi in gruppo. Differenza fondamentale d’accesso è che
nel gruppo formale si entra sostanzialmente non per scelta, in quello informale,
invece, è l’individuo stesso che decide liberamente scegliendo tra gruppi
simili o affini quello maggiormente aderente alle sue esigenze. Nei gruppi
avviene una differenziazione spontanea per ruoli in quanto ogni compito è
affidato a persone capaci di eseguirlo meglio degli altri:è il caso delle prime
parti in orchestra e dei capi sezione nel coro, oltre alle altre varie mansioni
affidate secondo le competenze (presidente, vice maestro, consiglio direttivo,
segretario ecc.). Il diverso prestigio di cui godono i vari ruoli crea una sorta
di gerarchia di funzioni e specializzazioni che si sviluppa generalmente secondo
due diversi parametri di valutazione: simpatia ed efficienza. Alla dinamica
psicologica delle situazioni di gruppo presiede l’autorità del direttore,
dettata sia dalla sua competenza tecnica ed artistica, che dal suo carisma,
aspetto essenziale senza il quale la figura direttoriale mancherebbe di quella
superiorità psicologica che esercita sugli altri. Il direttore, in quanto
"capo", è una persona sulla quale altre proiettano i propri desideri
di potere e sicurezza e con la quale finiscono per identificarsi. Per far sì
che questo avvenga, il direttore deve mantenersi in un delicatissimo equilibrio
dettato dalla duplice esigenza di differenziarsi dal proprio gruppo per fungere
da obiettivo alla proiezione del gruppo e, al contempo, essere "uno del
gruppo" per permettere il processo d’identificazione. Affiancare la
popolarità e la propria efficienza all’aspetto carismatico è la vera
combinazione vincente sul piano direttoriale; successivamente, sarà il reale
successo ottenuto dalla miscela sapiente di questi ingredienti che sancirà
l’effettiva autorità e statura morale del direttore, qualora dovesse mancare
tale riscontro, l’ammirazione ed il rispetto si tramuteranno in odio e
derisione.
All’interno dei gruppi informali si costituisce, generalmente, una linea di
comando (leadership) distinta in autoritaria, democratica o anarchica:
autoritaria, se la funzionalità del gruppo dipende unicamente dal suo leader,
in tali casi gli elementi costituenti il gruppo sono soggetti alla figura del
capo senza esprimere creatività, competenza e capacità;
democratica, se il gruppo agisce perseguendo le proprie finalità seguendo il
capo ma conservando anche la propria autonomia psicofisica e creativa: in tal
caso tutti i membri si sentono responsabili (non sempre nell’accezione
positiva del termine) e coinvolti nell’esperienza di gruppo;
anarchica, se il capo è incapace di assolvere efficientemente al suo compito
consentendo ai singoli elementi di fare i propri interessi a discapito di quelli
del gruppo.
All’interno di piccoli gruppi come cori e orchestre, inoltre, ricorrono figure
tipiche che è bene tenere sotto controllo affinché non nuocciano agli
interessi generali del gruppo stesso:
il gregario, soggetto senza propria personalità ed idea, persegue gli ideali
degli altri aggregandosi passivamente all’opinione generale;
il capro espiatorio, soggetto che attrae più o meno volontariamente tutte le
negatività del gruppo sulla propria persona ritenendosi vittima del sistema in
cui vive;
l’antileader, figura antitetica a quella del direttore ed invidiosa delle
capacità altrui. Tale soggetto, cercando la complicità degli altri, fomenta
discordie e maldicenze all’interno del gruppo; le sue critiche sono sempre
fini a se stesse e mai costruttive, il direttore è quel che lui vorrebbe essere
ma non riesce ad essere, è il nemico che con la sua bravura dimostra
puntualmente la sua superiorità. L’antileader è generalmente l’individuo
più meschino e subdolo del gruppo e porta il più delle volte alla scissione
del gruppo stesso.
Affinché possa armoniosamente operare, un piccolo gruppo necessita di alcune
caratteristiche essenziali:
complicità interna, la cosiddetta atmosfera di gruppo; prospettiva temporale,
vale a dire un limite cronologico entro cui realizzare i propri obiettivi;
sentimento del "noi", sentirsi uniti e riconoscere gli altri fuori del
gruppo. Con la costituzione di un nuovo gruppo, le distanze sociali fra i
componenti si assottigliano permettendo ai membri di sentirsi sempre più
simili: è in virtù di questa somiglianza che prendono a designarsi con il
pronome "noi".
Va, infine, ricordato che il gruppo corale e orchestrale presenta notevoli
vantaggi di prestazione rispetto ai singoli esecutori che lo costituiscono;
infatti, secondo la tesi della forma e della totalità, risalente a Platone ed
Aristotele, l’insieme è qualcosa in più rispetto alla somma delle singole
parti (o soggetti) costitutive. In virtù di tale principio, orchestrali o
coristi che, presi nella loro singolarità non otterrebbero scritture per
concerti ed esibizioni solistiche, grazie alla forza del gruppo riescono ad
effettuare una moltitudine di concerti esibendosi anche con virtuosi e direttori
di un certo rilievo.
Antonio Cericola
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